Non è facile mettere nero su bianco l’estate appena trascorsa… successi, felicità, sofferenza, delusione, gioie e paure si sono alternate vorticosamente. Ormai è arrivato il momento di riordinare il tutto e tirare un bilancio di quelli che sono stati sicuramente due mesi tra i più intensi di tutta la mia vita. Siamo partiti l’otto giugno per il Pakistan con i seguenti obiettivi : la salita del Nanga Parbat 8.126 m, del Broad Peak 8.046 m. e del K2 8.611 m.
La nostra squadra è composta da sei amici, tutti Guide Alpine Valdostane : Roger Bovard, Marco Camandona, Emrik Favre, Jerome Perruquet, Pietro Picco e io. Quando abbiamo presentato il nostro progetto, tanta gente ci ha presi per pazzi. Tra i tanti, il mio amico Francesco Ratti, scherzando, ci ha detto che volevamo fare il “Triplete” come la magica Inter di Mourinho nel 2010. Senza lasciarci scoraggiare, a inizio giugno siamo atterrati a Islamabad dove abbiamo dovuto districarci nella burocrazia Pakistana per riuscire a sdoganare il nostro materiale. Fortunatamente dopo due giorni di lotta abbiamo ottenuto il nostro materiale e abbiamo iniziato a muoverci verso le montagne.
Il viaggio fino al campo base è filato liscio: dopo un giorno di jeep e due di trekking siamo giunti ai piedi della montagna. Le valli del Nanga sono luoghi culturalmente molto duri, i Talebani e il fondamentalismo sono molto radicati. Questo purtroppo complica parecchio lo sviluppo di queste regioni che a mio avviso sono tra le più belle al mondo. Abbiamo posizionato il nostro campo base a 4.300 m ai piedi della parete Diamir su un bellissimo prato pieno di fiori e immediatamente abbiamo mosso i primi passi sulla montagna. Assieme a Jerome, ho compiuto una rapida ricognizione fino a 5.500 m; eravamo i primi a toccare quella quota senza corde fisse e battendoci la traccia. È stato subito chiaro che sul Nanga faceva caldo e bisognava dare il tempo alla neve di assestarsi, così per continuare il nostro acclimatamento abbiamo optato per il Genalo Peak, una montagna di circa 6.500 m sul lato opposto della valle. Nel mirino avevamo una bella cresta che a occhio poteva essere fattibile ma non semplicissima. Il primo giorno, senza particolari difficoltà abbiamo raggiunto i 6.100 m dove abbiamo montato le nostre tende in un piccolo ripiano sulla cresta. Il giorno seguente la musica cambia decisamente, la cresta si rivela affilata e a tratti intervallata da alcuni pilastri non sempre facili da salire. Raggiunti i 6.300 m, abbiamo deciso di scendere perché le condizioni stavano peggiorando drasticamente. Non abbiamo raggiunto la vetta ma un importante tassello per il nostro acclimatamento era stato raggiunto. La cosa per noi più importante è stata quella di poterci acclimatare su una montagna vergine dove c’eravamo solo noi. Vero alpinismo a pochi passi dalle folle: una cosa bellissima!
Purtroppo la meteo è cambiata drasticamente e il giorno seguente ha iniziato a nevicare. Per 7 giorni siamo stati bloccati al campo base sotto una fitta nevicata. In totale sono caduti più di 2 metri di neve che hanno messo a dura prova le nostre tende, la nostra pazienza e tenacia. Di giorno palavamo e ripulivamo il campo di continuo mentre le notti erano interminabili! Finalmente la sera del 22 giugno sono ricomparse le stelle e così abbiamo potuto iniziare a organizzarci per ripartire verso la montagna.
Dopo due giorni di attesa, per permettere alla neve di assestarsi, abbiamo ritracciato da soli tutta la via fino al campo uno. La neve ci aveva rallentati ma era chiaro che i centimetri appena caduti non erano solo una cosa negativa.
Ho subito notato che la parete a destra dello sperone che delinea il muro Kinshofer era in ottime condizioni. Quello spicchio di parete era vergine e così la mia idea era di provare a farci una via nuova. Anche Pietro si è mostrato motivatissimo e quindi il 26 giugno siamo partiti noi due dal campo base con tutto il materiale. Oltre all’attrezzatura da scalata avevamo tutto l’occorrente per bivaccare due notti! Arrivati sotto la parete abbiamo salito un enorme seracco che in seguito abbiamo scoperto dall’amico Tarcisio Bellò che era il seracco che tolse la vita a Ghunter Messner, il fratello di Reinhold, scomparso nel 1970 dopo aver conquistato la parete Rupal. Con due tiri verticali siamo entrati in un immenso canalone che alternava tratti di ghiaccio a pendii di neve. Alle 9 avevamo percorso già un ottimo dislivello dal campo base, circa 1.000 m e quindi ci siamo presi una piccola pausa per bere e mangiare. Siamo ripartiti motivatissimi ma le condizioni stavano cambiando velocemente. Il caldo degradava la neve e procedere diventava sempre più faticoso, inoltre anche la parete diventava sempre più ripida. Abbiamo optato per raggiungere una fascia di rocce che delimitava la cresta dov’è situato il campo due. In quel momento ero io davanti e ho scalato 3 tiri non semplici soprattutto perché sulle rocce c’era un fastidiosissimo strato di neve marcia. Al culmine dell’ultimo tiro dopo aver superato la cresta, mi sono trovato al campo 2. Recuperato Pietro, entrambi ci siamo rilassati, in quel momento un mix di sentimenti e di pensieri mi ha invaso la mente. Ero contentissimo, finalmente realizzavo un sogno ma allo stesso tempo mi era chiaro che la nostra avventura sul Nanga non era finita. Ci hanno raggiunti i nostri compagni che avevano percorso la via normale per terminare l’acclimamento.
Dopo tanti complimenti e abbracci, tutti assieme siamo scesi per riposare e fare il tentativo di vetta pochi giorni dopo. La nostra fretta nel voler scendere fu un grosso errore! Dentro al muro Kinshofer abbiamo subito capito di aver totalmente sbagliato gli orari: infatti nel pomeriggio questo tratto di parete esposto a sud diventava pericolosissimo con continue valanghe e scariche di sassi. Ci siamo divisi in due gruppi per cercare di non affrontare tutti assieme i tratti più esposti. Questa tattica ha dato buoni frutti: siamo riusciti a scendere tutti senza nessun incidente! Vi confesso che non è stato semplice scendere dalla montagna, le condizioni erano oggettivamente molto pericolose e siamo stati fortunati ad arrivare a valle sani e salvi. Arrivati al campo base, ci siamo riposati un paio di giorni ma purtroppo il meteo era cambiato ancora una volta e di conseguenza abbiamo cambiato i nostri piani. Abbiamo tutti optato per una salita in velocità per sfruttare la brevissima finestra che ci è stata concessa. Solo il nostro team al quale si aggiunse Cesar Rosales, un alpinista e guida alpina Boliviano, aveva deciso di tentare la salita. Personalmente volevo scalare in “one push” la via Kinshofer, in totale autonomia e senza mai fermarmi! Alle 11:30 del 3 luglio ho lasciato il campo base scalando da solo fino al campo 3 a 6.850 m. Qui ho raggiunto i miei compagni e ho riposato 4 ore nella loro tenda di modo da mangiare e bere qualcosa. Da qui in avanti la musica è cambiata: la montagna non era più attrezzata e quindi potevamo contare solo su noi stessi. Questo mi dava moltissimi stimoli! Mi trovavo a mio agio lassù, l’assenza di corde fisse mi gasava e inoltre stavo benissimo.
Alle 7:50 io, Jerome e Cesar abbiamo raggiunto la vetta!! Fu un momento splendido condiviso con due carissimi amici entrambi alla loro prima esperienza su un 8.000. Siamo rimasti in vetta quasi un’ora dove poco dopo ci ha raggiunti anche Pietro!
Eravamo contentissimi ma ben conosci che non era finita. La discesa, senza corde fisse, si è rivelata molto insidiosa ed esposta! A circa 7.800 abbiamo incontrato Emrik, Roger e Marco! Abbiamo iniziato a incitarli il più possibile perché il tempo era ottimo e ormai mancava veramente pochissimo alla vetta. Quando noi eravamo al campo tre ci hanno chiamato per radio dalla vetta! Fu per tutti una gioia immensa: tutti e 7 eravamo arrivati in cima. Io e Cesar ci siamo riposati qualche ora per poi ripartire in direzione campo base, invece tutti gli altri decisero di fermarsi nuovamente al campo 3. Con le ultime luci del giorno siamo usciti dal ghiacciaio dove ad attenderci c’era il nostro amico Marco Confortola con due bottigliette di coca cola. Assieme a Marco in mezzora abbiamo raggiunto il campo base dove ci hanno accolti tutti con un grande fuoco e un sacco cibo. La mattina del giorno seguente anche gli altri hanno raggiunto il campo base e per tutti fu festa!! Eravamo ben consci di aver portato a casa un importante risultato ma anche che la nostra spedizione non era che all’inizio!
Sul Nanga abbiamo imparato che una delle doti più importanti per un alpinista è l’adattamento. Abbiamo vissuto condizioni e situazioni molto diverse ma siamo sempre riusciti a trovare una soluzione, trovando una via anche quando tutto sembrava perso!